12gen 2024
Botticino Noventa: i grandi vini di un piccolo territorio
Articolo di: Fabiano Guatteri

Noventa è un’ azienda vitivinicola a conduzione famigliare di Botticino Mattino, borgo nel cuore della zona DOC bresciana Botticino.  


Fondata nel 1970, la cantina dispone di 11 ettari vitati di proprietà disposti in un anfiteatro prealpino rivolto a sud, con le viti che allignano su versanti scoscesi, in parte terrazzati, con presenza di macchie boschive che garantiscono ricca biodiversità al territorio.
Abbiamo visitato questa realtà poco nota per scoprire l’unicità di questa terra, defilata rispetta alle principali vie di comunicazione e pertanto non di passaggio. È, questo, un territorio agronomicamente e geologicamente unico. Unicità dovuta anche al terreno di marmo bianco già presente a 50 cm di profondità, che necessariamente incide sulla qualità delle uve.

 

 

Ci ha accolti Alessandra Noventa (foto 1), deliziosa quanto ospitale giovane signora figlia del fondatore Pierangelo che affianca nella conduzione dell’azienda assieme al marito Cristian e alla sorella Rossella.
E considerato che il vino nasce in vigna, abbiamo visitato innanzitutto i vigneti.

 

 

Il territorio


Come detto la caratteristica del terreno è data dalla presenza di marmo, tant’è che nella zona vi sono numerose cave, e con il marmo di Botticino  è stato costruito l’Altare della Patria
Un tempo, circa 200 milioni di anni fa, il mare arrivava sin qui, depositando materiali inorganici e organici che formarono un giacimento di pietra calcarea dovuta ai processi sedimentativi e di cementazione così da formare, in milioni di anni, il marmo. Successivamente uno scontro tra placche tettoniche originò i rilievi, formando queste colline di marmo (foto 2 e 3). E nel marmo le viti affondano le radici.

 

Di conseguenza, come spiega Alessandra Noventa, le piante “assorbendo questo minerale comunicano all’uva, e quindi al vino, finezza, eleganza, e una sapidità che non può dare la cantina, ma unicamente il terreno”. E, precisa “il marmo di Botticino è calcare puro. Nel mondo dove ci sono così alte percentuali di calcare nel terreno si producono i grandi vini. Purtroppo la nostra cultura, il nostro modo di valorizzare tutto italiano, non è forte come quello francese. Questo per dire che un territorio con queste caratteristiche, in Francia sarebbe indubbiamente valorizzato perché lì essere piccoli conferisce unicità, qui invece…”.

 

Dai vigneti, a circa 400 metri all’interno dell’anfiteatro, con lo sguardo si abbraccia parte della proprietà (video 4). Grazie alla felice posizione i grappoli sono esposti al sole dalla mattina alla sera. Inoltre qui si forma una brezza che muove le foglie e scongiura l’umidità. Umidità scongiurata anche dalle forti pendenze, in quanto se piove l’acqua scorre a valle, per cui non si formano ristagni idrici, impedendo così lo sviluppo funghi come la botrite.

 

I grappoli pertanto restano asciutti e questo comporta un minor utilizzo di fitofarmaci, ma soprattutto si può vendemmiare l’uva quando raggiunge la perfetta maturazione fenolica, e non prima, per paura che cominci a marcire.

 

Ciò significa, a parte la ricchezza di zuccheri presente già a metà settembre, che i tannini, i vinaccioli, le bucce al loro punto ideale di maturazione permettono di ottenere vini eleganti, con tannini dolci, non dati dal legno delle botti.

 

Pertanto l’esposizione a sud, la costante ventilazione, le forti pendenze, garantiscono salubrità al vigneto favorendo la conduzione a regime biologico: l’azienda è iscritta al registro degli operatori biologici dal 2014. Le uve qui allevate sono sangiovese, barbera, marzemino, schiava gentile e più recentemente invernenga; la produzione vinicola è di 35 mila bottiglie annue.

 

 

Il vigneto


A Botticino il periodo di maggiore espansione dei vigneti avvenne nella prima metà del Novecento tra le due guerre, quando contava circa mille ettari. All’epoca era tutto un vigneto perché qui si produceva il vino più importante di Brescia. Poi man mano le vigne venivano abbandonate in quanto la viticoltura qui è sempre stata dura, ed è di fatto un’agricoltura eroica con lavorazioni necessariamente manuali su pendii scoscesi, e con basse rese perché i terreni collinari non spingono la produzione come quelli in pianura. Ma il colpo fatale alla viticoltura di Botticino fu dato dalle cave di marmo che garantivano un lavoro più redditizio. E il bosco, pertanto, negli anni si è ripreso parte dei terreni antropoformizzati espandendosi tant’è che vi sono macchie boschive terrazzate proprio perché precedentemente erano a vigneto (foto 5).

 

I maggiori produttori, con i loro 11 ettari, oggi sono i Noventa che coltivano unicamente uve italiane sicuri che il territorio posa dare molto di più con viti nazionali anziché internazionali.

 

Il vigneto vede la presenza predominante, pari all’80%, di barbera e di sangiovese. La prevalenza dei due vitigni permette di ottenere vini eleganti, fini, verticali. Barbera e sangiovese non sono vitigni facilissimi e forniscono buoni risultati solo se il territorio è vocato come questo. L’ azienda produce tre Botticino DOC, provenienti da tre diversi cru posti su altrettante colline. Le differenze dei vini la determina soprattutto il suolo (foto 6), quindi l’età delle viti. “E’ la terra che fa la differenza” spiega Alessandra Noventae la terra per la pianta è importante quanto per noi ciò che mangiamo”.

 

Il vino Gobbio è prodotto in un vigneto premier cru che si differenzia dagli altri anche se poco distanti. Il terreno tipico del Botticino è rosso, mentre qui è chiaro e pertanto origina un vino diverso.

 

La presenza di terra chiara, quasi bianca quando asciutta, risale a milioni di anni fa ed è ricco di  marna (calcare e argilla), carbonato di calcio, limo e sabbia. All’epoca si formò un’enorme frana che coprì la terra rossa lasciando una fascia visibilmente diversa. Il vigneto di Gobbio, con i suoi 4,5 ettari, è il più esteso di Botticino perché le altre vigne si sono frazionate con le eredità distribuite tra più figli. Si chiama Pozzetto per la presenza di un pozzo, una vera ricchezza, soprattutto in collina dove l’acqua piovana scorre via. Il pozzo permetteva di abbeverare il bestiame, e le donne vi attingevano l’acqua per l’uso domestico. Data l’intrinseca importanza, questa zona era demaniale e pertanto rimase integra nei secoli, e così è arrivata ai Noventa.
Il vino, Gobbio, ha molta più potenza di quelli degli altri cru.

Invece il terreno tipico di Botticino lo troviamo del vigneto di Pià de la Tesa (foto 7), anch’esso all’interno dell’anfiteatro, molto vicino alle cave. Qui il marmo è detto fiorito per la presenza di parti gessose color avorio e fa parte di un terreno argilloso con presenza di ferro, marnoso, gessoso. Ed è il ferro delle argille a conferire una tipica coloritura rossastra al suolo.

 

Il vigneto Colle degli Ulivi, si trova nella frazione di Botticino Sera, e radica in una stratificazione geologica più recente detta Selcifero lombardo; questo terreno, color nocciola, è composto da un mix di sabbia, argilla, limo, presenti in ugual misura.

 

 

I Botticino DOC


Ovviamente abbiamo visitato anche la cantina (foto 8) il cui lavoro, si fonda sul rispetto delle uve, consideratane la qualità, e dalla loro valorizzazione senza forzature.
I vini Noventa hanno un grado alcolico di tutto rispetto “ma perché” spiega Alessandra “le rese sono basse, le viti sono ben esposte, l’estate sempre molto calda fa la sua… e i miracoli non si possono fare. Per diminuire l’alcol dovremmo aumentare la resa di uva sulle piante, ma allora diminuirebbe la qualità. Inoltre la collina con ha il terreno della pianura, ricco di sostanza organica che permette un carico più elevato d’uva. Ovviamente l’altra faccia della medaglia e che i vini di collina sono più fini”.

 

I tre Botticino (foto 9) nascono dallo stesso blend con prevalenza di uve barbera (35- 40%), in quanto la caratteristica principale di questo vitigno è l’acidità. Pertanto i vini Noventa, pur avendo un buon tenore alcolico, sono molto equilibrati perché l’acidità va a bilanciare la dolcezza dell’alcol. "E l’alcol non si avverte, mentre se un vino non fosse equilibrato" ricorda Alesandra Noventa  "anche 13° apporterebbero pesantezza."

 

Le etichette sono state disegnate da Rossella Noventa e raccontano i vini. Innanzitutto si impone il bianco del marmo;  osservando le tre etichette in successione, si notano le differenze dei rispettivi cru, ossia le colline dove dimorano i vigneti, dove risultano ben espresse le pendenze dei loro versanti. Il disegno del fossile testimonia l’origine del terreno. E dal fossile nasce e si sviluppa la vite, secondo l’età dei vigneti: un’esile pianta, quasi un germoglio in rappresentanza di Colle degli Ulivi, cioè il vigneto più giovane, che diventa sempre più nodosa nelle altre due etichette, per cui nell’ordine Pià de la Tesa, l’adulta, e Gobbio, la più vetusta con un evidente apparato radicale ben sviluppato.

 

Colle degli Ulivi 2020 (foto 10)

È il cru di entrata ed è anche il vigneto più giovane; il pigiato macera circa nove giorni in vasche di cemento, quindi matura per 24 mesi in cemento e affina sei mesi in bottiglia .

 

Note gustative
Possiede colore rubino scarico apportato da una maggiore freschezza dell’annata.

Il profumo ricorda frutti rossi e neri e nuance speziate.

In bocca è di piacevole beva, semplice, ma non banale, immediato, verticale. L’impronta tannica è data esclusivamente dalle bucce, in quanto non fa affinamento in legno, ma in cemento, e pertanto il tannino è più fine. Possiede piacevole sapidità e ritorno di note speziate. Media persistenza e finale che lascia la bocca asciutta, pulita.

 

Abbinamenti
Caciucco alla livornese.

 

 

 

Pià de la Tesa 2020 (foto 11)

È il vino più rappresentativo della Maison ed è proprio il Botticino che nasce, come visto, nella terra rossa, in un vigneto circondato dalle cave di marmo.
Il pigiato macera in vasche di acciaio a temperatura controllata per 12 giorni. Il vino è elevato in botti di rovere di 12-18 ettolitri, non nuove, ma di più passaggi per esaltare il tannino delle uve, per 24 mesi. Affina in bottiglia 12 mesi.

 

Note gustative
Colore rosso rubino intenso.
Profumi di frutta in cui si riconosce in modo netto l’amarena oltre a sentori speziati e balsamici.
In bocca è strutturato, bella spalla acida e piacevoli ricordi di amarena già avvertiti in fase olfattiva. È molto equilibrato, tannino levigato, sorso lungo dotato di piacevole salinità.

 

Abbinamenti
Brasato all'olio.

 

 

 

Gobbio 2019 (foto 12)

Nasce da una zona molto particolare, con terra bianca simile a quelli del Friuli e dell’Alta Langa, formata da minerali sbriciolati; infatti qui non si cava il marmo perché la terra si sbriciola. È un terreno che dà potenza anche meramente alcolica, “è un cavallo da domare” spiega Alessandra Noventa" e nasce da uve che hanno più potenza, più struttura; in cantina occorre lavorarle con una modalità molto soft. Il vino ha complessità e struttura eccellenti, e pur avendo un tenore alcolico di 14° si rivela elegante, equilibrato, piacevole”.

 

Nasce inoltre da uve di viti molto vecchie, di 60-80 anni con una quindicina di piante centenarie a piede franco che ovviamente non influiscono sulle caratteristiche del vino, però sono una testimonianza dell’antichità del vigneto. La ricchezza di minerali del suolo ha in qualche modo inibito la diffusione della fillossera. La particolarità di queste viti risiede nel fatto che essendo così vecchie non provengono da vivai, ossia non sono cloni che il vivaista vende in tutta Italia. Queste piante, invece, sono state innestate sul posto e pertanto i suoi cloni non esistono altrove, ossia sono unici. Il mosto macera sulle bucce per una decina di giorni, quindi il vino è elevato in botti di 12-18 ettolitri e in tonneau di 500 litri per 24 mesi e affina un anno in bottiglia.

 

Note gustative
Nel calice riflette colore rubino intenso.

Al naso profumi di frutta rossa estiva come prugna, ciliegia, amarena e note floreali e speziate.

In bocca è complesso, e pur avendo possedendo grande potenza e alcolicità spiccata, grazie alla freschezza, non si impone, non è pesante. Freschezza che contribuisce all’eleganza del sorso unita alle note saline. Alcolicità, acidità e tannini maturi, sono in perfetto equilibrio. Lunga la persistenza.

 

Abbinamenti
Lepre in salmì. 

 

Noventa produce da dieci anni anche L’ Aura un rosato da uve schiava che ha sempre più successo, di cui abbiamo scritto qui.  C’è inoltre in cantiere la produzione di un bianco su base di uva bianca invernenga che è l’unica autoctona bresciana, e avrà anche una percentuale di trebbiano per dare più struttura. Il nome invernenga, cioè invernale, si spiega perché un tempo si facevano appassire i grappoli che venivano serviti a Natale come dolce.

 

 

Conclusioni


L’anfiteatro dove allignano i vigneti, come visto, essendo rivolto a sud permette alle uve di ricevere il sole tutto il giorno. I pendii scoscesi favoriscono il defluire delle acque evitando ristagni. Inoltre la brezza mantiene asciutti i grappoli così da poterli portare alla maturazione senza dover anticipare la vendemmia. L’assenza di umidità, infine, permette la conduzione biologica. A ciò si aggiunga la particolarità dei terreni, ossia il marmo, che incide sensibilmente sul profilo organolettico dei vini. Il terreno marnoso di Gobbio permette di differenziare in modo notevole le produzioni che nascono da vigneti, alcuni vetusti, quasi contigui e dalle stesse uve. Questi fattori, più che dettagli, portano a definire l’unicità del territorio e corroborano quanto afferma Alessandra Noventa: “la differenza è fatta di dettagli”. E qui la differenza c’è.

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